A me l’autunno piace perché non vado più alla deriva. Avevo letto una frase, da qualche parte. Forse era di una pittrice, spuntava da una corrispondenza privata. Le avevano chiesto come stava, come andavano le vacanze. E lei aveva risposto che stava lì ad aspettare che l’estate finisse per ricordarsi chi era - o qualcosa di molto simile. Dell’autunno non mi piace il buio, lo spettro della sinusite, le mani che si screpolano e i berretti che mi servono ma mi stanno TUTTI MALE. Mi piace la faccenda delle foglie, certo, ma non mi pare decisiva. A chi non piacciono le foglie, ma che foglie vuoi che vediamo a Milano. Fa freddo ma vado in giro di nuovo, provo a dar retta ai movimenti che fa il resto del mondo. D’autunno, se vuoi fare qualcosa, puoi provarci perché ci siamo di nuovo tutti. L’estate è per gli organizzati e i viaggiatori e io, che nel futuro ho imparato ad avere poca fiducia, non sono capace di organizzare niente. Mia madre ogni tanto ci minacciava: guardate che prima o poi prendo la porta e non mi vedete più. A furia di dirlo è successo, ma non credo proprio fosse quella l’intenzione. L’autunno mi piace perché è il momento più lontano dall’estate? Cosa fa una viaggiatrice da ferma? Aspetta che arrivi il momento giusto per prendere finalmente la porta. A me però piacerebbe che venissero anche gli altri, che si smettesse di avere nostalgia anche di quello che c’è nel presente. Per ogni foglia che casca ci vorrebbe un’avventura da pianificare, un esercizio che ci faccia capire che ci siamo lo stesso. Anche se mi concentro, non distinguo le mie estati recenti. Ma mi ricordo tutto quello che ho sperato di fare in autunno. E in quel che è diventato vero, di quelle speranze lì, abito con fiducia e mi difendo dal freddo, anche se ho sempre il mal di testa.