Ci sono un gigantesco Gabibbo, un gigantesco Tapiro, 1.750 piccolissimi monitor in cui vanno le puntate della trasmissione, centinaia di fotografie di eventi storici, primo fra tutti l’epica chiacchierata tra D’Alema e il Gabibbo. Paradossalmente non c’è lui, Antonio Ricci, che tutto ciò ha messo in moto un lontano 7 novembre del 1988. Nemmeno una foto nel museo di Striscia allestito da sua figlia Vittoria.
Lui se ne sta in carne e ossa al piano di sopra, in un piccolo ufficio pieno di ogni cosa, compresa una sedia che appartenne a Fabio Fazio e che Ricci comprò per 30 euro. «L’ho comprata a un’asta degli oggetti provenienti da una villa di Fabio. Cambiava casa. Tutti noi avremmo regalato gli oggetti a una parrocchia. Lui ha fatto un’asta. Essendo ligure e i liguri sono notoriamente… accorti», racconta Ricci a Claudio Sabelli Fioretti su
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Poi, ricorda l’aneddoto dell’emerocallo: «Una poesia che ho scritto per fare un trappolone a Massimo Giletti. Un falso montaliano. Giletti mi aveva chiesto di recitare la poesia del cuore, a Domenica In. Io gli dissi che avevo trovato un inedito di Montale e gli mandai il video con la mia recitazione. “Come l’emerocallo che scolora, / nella bruma diffusa della sera / sempre svanisce nel ricordo / questa allegrezza inquieta./ Strombola il falco, l’ulivo s’inciela...”. Accenni di Gozzano, di Sbarbaro, perfino di Pascoli. Andò in onda senza alcun commento. Nessuno si accorse di nulla».
Infine, confessa: «Purtroppo temo di essere buono. Dentro di me sono santo. Ma, per fortuna, non mi crede nessuno. Mi attribuiscono tutte le cose più malvage. Paolo Villaggio raccontava che avevo fatto mangiare un topo morto a Fabrizio de André».
L’intervista di Claudio Sabelli Fioretti
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