Nel nuovo, bellissimo, film di Pedro Almodóvar, #LaStanzaAccanto, il personaggio interpretato da Julianne Moore a un certo punto dice che ci sono diversi modi di vivere la tragedia, e mai verità risulta essere più azzeccata, soprattutto oggi che pensiamo che tutto, inclusi la felicità e il dolore, debbano rispettare un codice deciso dall’alto. Nel film, uno dei più belli e intimi di Almodóvar, due vecchie amiche si rincontrano a distanza di anni: una è una scrittrice di successo, mentre l’altra convive con un tumore al terzo stadio che la porta a decidere di andarsene alle sue condizioni, prima che la malattia consumi il suo corpo e gli antidolorifici la stacchino completamente dal mondo. Decide, però, di non sparire da sola, ma di chiedere alla sua amica, che ha sempre avuto una grande paura della morte, di stare nella stanza accanto nel momento in cui deciderà di togliersi la vita. Con una lucidità e una limpidezza disarmanti, Almodóvar ritrae due modi diversi di intendere la morte: da una parte c’è una donna che farebbe di tutto pur di non sentir parlare dell’argomento, aggrappandosi a quell’«euforia» descritta così bene da Valeria Golino in uno dei suoi film più belli, e dall’altra c’è una donna malata che decide di guardare in faccia la propria fine e di avere l’ultima parola a riguardo. Si tratta di due tragedie che meritano lo stesso rispetto perché quello che sembra dirci Almodóvar è che il dolore e la malattia si affrontano alla propria maniera, senza che nessuno, specie in questo tribunale virtuale al quale noi stessi presenziamo silenziosamente appena accediamo al nostro smartphone, possa dirci se siamo nel torto o nella ragione.

Di @mariomanca89 

#VFentertainment
Nel nuovo, bellissimo, film di Pedro Almodóvar, #LaStanzaAccanto, il personaggio interpretato da Julianne Moore a un certo punto dice che ci sono diversi modi di vivere la tragedia, e mai verità risulta essere più azzeccata, soprattutto oggi che pensiamo che tutto, inclusi la felicità e il dolore, debbano rispettare un codice deciso dall’alto. Nel film, uno dei più belli e intimi di Almodóvar, due vecchie amiche si rincontrano a distanza di anni: una è una scrittrice di successo, mentre l’altra convive con un tumore al terzo stadio che la porta a decidere di andarsene alle sue condizioni, prima che la malattia consumi il suo corpo e gli antidolorifici la stacchino completamente dal mondo. Decide, però, di non sparire da sola, ma di chiedere alla sua amica, che ha sempre avuto una grande paura della morte, di stare nella stanza accanto nel momento in cui deciderà di togliersi la vita. Con una lucidità e una limpidezza disarmanti, Almodóvar ritrae due modi diversi di intendere la morte: da una parte c’è una donna che farebbe di tutto pur di non sentir parlare dell’argomento, aggrappandosi a quell’«euforia» descritta così bene da Valeria Golino in uno dei suoi film più belli, e dall’altra c’è una donna malata che decide di guardare in faccia la propria fine e di avere l’ultima parola a riguardo. Si tratta di due tragedie che meritano lo stesso rispetto perché quello che sembra dirci Almodóvar è che il dolore e la malattia si affrontano alla propria maniera, senza che nessuno, specie in questo tribunale virtuale al quale noi stessi presenziamo silenziosamente appena accediamo al nostro smartphone, possa dirci se siamo nel torto o nella ragione. Di @mariomanca89 #VFentertainment
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